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Per i Maya il sale non era solo un condimento

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Il sale oggi si trova facilmente in qualsiasi supermercato e stiamo attenti a non usarne troppo per non danneggiare la salute. In passato, invece, era considerata una merce ambita e preziosa. Il cloruro di sodio, elemento indispensabile nella dieta fin dall’antichità, era raro, tanto da essere considerato quasi magico. Nella civiltà maya per esempio, fu così importante da diventare una preziosa offerta  per gli dèi e una moneta di scambio.

Conservante naturale. Ma perché il sale era considerato così essenziale in questa civiltà? Non solo perché dava sapore ai cibi. La sua virtù più grande, infatti, era la capacità di conservare gli alimenti in un clima tropicale, in un’epoca in cui il frigorifero non esisteva.

Grazie a uno studio pubblicato dall’Università di Cambridge possiamo fare chiarezza sul ruolo, sulla produzione e sulla distribuzione “dell’oro bianco” nella società maya, in particolare in un sito archeologico subacqueo, recentemente esplorato in Belize, in cui si è stata scoperta l’esistenza di un villaggio con abitazioni dotate di “cucine” per realizzare il sale, officine per lavorare prodotti salati ed essiccati e magazzini per lo stoccaggio della merce.

Un tesoro in fondo al mare. Al largo della costa del Belize meridionale, è stato scoperto un sito archeologico subacqueo, chiamato Ta’ab Nuk Na, abitato tra il 600 all’800 d.C. circa. Il sito si trova all’interno del Parco Nazionale di Payne Creek, una riserva naturale in cui  sono stati ritrovati circa 110 siti maya sommersi.

Quello di Ta’ab Nuk Na è quello che offre il maggior numero di indizi sulla vita quotidiana della popolazione maya nel periodo classico (200-900 d.C.), perché è avvolto da una torba di mangrovia anaerobica (senza ossigeno): la carenza di quest’elemento chimico allontana i microrganismi, che solitamente deteriorano i resti archeologici subacquei, quindi il sito è ben conservato.

Un antico “polo industriale”. Grazie all’indagine del fondale marino, realizzata all’interno di un progetto di ricerca dell’Università della Louisiana e del Texas, è emerso che questa era una zona residenziale, dove sorgevano una decina di case-botteghe a conduzione familiare, dove si produceva sale, inizialmente per uso domestico, il cui surplus veniva destinato alle popolazioni limitrofe. In pratica sono state ritrovate delle “cucine”, in cui l’acqua del mare veniva posta in recipienti di ceramica e fatta evaporare per ebollizione sul fuoco.

Con la produzione di sale arrivò, per la popolazione locale, un embrionale sviluppo economico.

Infatti, vicino alle “cucine” sono stati scoperti edifici destinati alla salatura, all’essiccazione del pesce, che si poteva così conservare nonostante la temperatura, caldissima, a queste latitudini tropicali.

l’economia maya. Questi nuclei familiari, lavorando nelle loro case, riuscivano a produrre una quantità di sale sufficiente a soddisfare anche il fabbisogno delle popolazioni che vivevano nell’entroterra, lontano dall’acqua marina.

Ai nostri occhi, un tipo di produzione artigianale, “fatta in casa”, potrebbe sembrare insufficiente per far fronte a una grande richiesta di mercato,  invece si accorda perfettamente con la concezione dell’economia maya del periodo classico, in cui le famiglie producevano risorse o beni in eccesso, sia da barattare con la popolazione locale in cambio di altri beni di consumo sia per il commercio vero e proprio nei mercati, che si tenevano in questa regione.



https://www.focus.it/cultura/storia/qui-i-maya-producevano-il-sale-fatto-in-casa-gia-15-secoli-fa

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