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“attirare” un oggetto se non lo riusciamo nemmeno a immaginare?
Per questo motivo, su richiesta della scopritrice L.B. , oggi voglio permettervi di immaginare, di farvi sognare, desiderare e condividere con voi appassionati una vera rarità. Una caffettiera che tutti i collezionisti vorrebbero poter esporre in una vetrinetta e cercano disperatamente in ogni cesta stracolma di similari ai mercatini.
Ma in questo caso raro ben si accompagna a unico (almeno per ora).
Più avanti capiremo assieme in cosa consiste questa unicità.
Inoltre, su questa caffettiera, o macchinetta del caffè che dir si voglia dovrei aprire una serie di considerazioni che non affronto qui per rispetto ad un libro che sarà pubblicato a breve a riguardo: sappi ate solo che essa racchiude ancora segreti e bugie e misteri degni di un romanzo di Raymond Chandler.
Mi ritengo fortunato ed onorato di aver potuto pulire e restaurare questa caffettiera. Sappiate che l’ho fatto con religiosità e passione, andando ad osservare e poi fotografare con cura ogni minimo particolare. Ho cercato di capirne le difficoltà di realizzazione in una buia e sporchissima fonderia della fine degli anni 30.
Stiamo parlando quindi di un “recipiente a superficie sfaccettata specialmente adatto per preparare e servire il caffè” rivoluzionario in quegli anni. Quando tutte le caffettiere in alluminio di quell’epoca venivano ricavate per stampaggio tramite pressa, questa fu (presumibilmente) la prima realizzata per fusione. Tale soluzione rendeva la macchina più robusta e duratura e impediva alla caldaia di gonfiarsi “a palloncino”.
L’accoppiamento a vite tra caldaia e bricco superiore era già stato brevettato e commercializzato precedentemente da Giovanni Vecchio di Milano (brevetto 309250 del 17/09/1932 per un apparecchio servente alla preparazione della bevanda di caffè ed altre infusioni) quindi non era una novità.
Bando alle ciance ed iniziamo a vedere di cosa stiamo parlando.
I più esperti diranno: “ah, la prima moka”.
I super esperti diranno: “ah la prima moka.. no aspetta: c’è qualcosa di diverso!”
Due o tre persone diranno: “oh oh oh!!!”
Molti si saranno chiesti le mie stesse domande: ma da dove arriva questa forma così complessa? Quale è stata l’evoluzione per arrivare ad un modello industriale così spigoloso? Ma soprattutto: perché se ne trovano talmente poche? Provo a dare una spiegazione..Tecnicamente la difficoltà più grossa all’epoca era la costruzione di uno stampo apposito, la “conchiglia” di ghisa. In questo caso specifico doveva essere ancora più complesso perché la caldaia, come ben vedete, si allarga per poi restringersi nuovamente. Il costo di tale stampo era elevato e necessitava di grande maestria per realizzarlo. Poche fonderie erano strutturate in tal senso. Pochissime.
La forma a spigoli secondo me prende spunto dalla celeberrima serie Alessi Ottagonale del 1935, anch’essa ispirata dalle forme dei tavolini da caffè che spopolavano nelle case della ricca borghesia
Nella foto qui sotto potete notare la medesima conformazione della base che va a stringere.
Un piccolo dubbio quindi mi assale: chi copiò chi? A chi vogliamo credere?
Il “quando” non è così marginale. Perché spiegherebbe la quantità esigua di pezzi prodotti. Proviamo ad immaginare per ipotesi di avere in mano un design vincente datato 1935 (o più verosimilmente 1937), ma di non avere i fondi necessari per poterlo realizzare.
Cosa si sarebbe potuto fare? Attendere.
Mesi, anni, e poi, finalmente, ecco realizzato il sogno! Una produzione che se per quanto spinta non poteva superare i 10 pezzi al giorno utilizzando un unico stampo a rotazione (sempre secondo me!).
Magari dopo 3 anni? Magari pochi mesi prima
del 10 Giugno 1940?
Il giorno delle decisioni irrevocabili?
Si spiegherebbe in tal senso la difficoltà estrema di reperimento: una scarsa, scarsissima produzione (altamente improbabili i 70.000 pezzi dichiarati da Renato Bialetti nel 1967) a fronte di circa 8 pezzi attualmente sparsi tra varie collezioni europee (più uno in Giappone).
La caffettiera oggetto di queste mie
considerazioni rappresenta oggi una novità: la
famosa “unicità”. Rispetto alle pochissime
macchine attualmente conosciute con
capienza di tre tazze, questa è da sei tazze.
Quindi gli stampi erano almeno due!
Altro aspetto che rende incredibilmente interessante questa caffettiera è, che per l a prima volta, ho avuto la gioia di toccare con mano il filtro, il controfiltro e l’imbuto, originali e coevi. Nelle altre macchine già pubblicate in questo blog, purtroppo, i filtri erano stati sostituiti con altri ben più moderni.
L’irregolarità dei fori mi fa pensare ad una sorta di pressa multi punte oppure addirittura alla loro realizzazione “uno ad uno” mediante maschera e trapano. Filtro e controfiltro furono realizzati secondo gli standard “poveri” dell’epoca, quindi in lastra di ferro nickelata. Le caffettiere di buona qualità invece erano dotate di filtri in ottone nickelato. La differenza al palato è sostanziale.
Per quanto riguarda l’imbuto invece ci troviamo davanti ad un oggetto tornito in lastra
Si possono ben vedere le rigature lasciate dall’attrezzo in legno necessario a modellarne la forma attorno allo stampo.
Il camino non sembra avvitato come in altre caffettiere simili ma semplicemente accoppiato con interferenza, frutto di grande abilità e precisione.
La parte terminale del camino è conformata a forma di semicalotta leggermente ovoidale, provvista di quattro fori di uscita sistemati a croce. Si vedono le tracce della lavorazione, sicuramente realizzata al tornio anch’essa.
Il tappo mantiene la forma ottagonale mentre il pomello di legno, dipinto di nero, replica un esagono.
Il tappo è provvisto di una costa circolare che ne permette l’alloggiamento stabile sopra al bricco di raccolta e inoltre presenta, sui due
lati contrapposti e ortogonali al beccuccio di uscita, due “bastoncini” che ne bloccano la rotazione.
La conformazione dello smusso del tappo presenta due tratti paralleli verso l’esterno mentre al centro la forma semicircolare sembra sia stata lavorata con una lima semitonda.
Il manico di questa sei tazze rappresenta un’evoluzione rispetto a quello della tre tazze: il micro manico in legno certamente molto elegante era in effetti privo di una qualsiasi logica o praticità. L’ustione delle nocche prendendo il manico con tre dita era una certezza ad ogni versata di caffè. In questo caso il manico, avvitato al corpo del bricco, aumenta di dimensioni e le due scanalature permettono di pinzare con maggiore efficacia la caffettiera (che ricordo nuovamente è di capienza doppia, quindi maggior peso e maggiore altezza).
L’interno della caldaia reca traccia dello stampo: “Quanto darei per poterne vedere uno dal vivo!”
La “macchinetta del caffè” vi saluta! Attendiamo ovviamente nuove scoperte nel prossimo futuro. 😉