Marisa Laurito (71 anni) ha appena finito di recitare in francese e cantare in italiano. Un’impresa tutt’altro che semplice. Ma Barbe & Doucet – registi, coreografi e costumisti franco-canadesi – sapevano bene cosa stavano facendo. E infatti nei panni della duchessa di Krakenthorp all’interno di La Fille du régiment (commedia operistica di Gaetano Donizetti andato in scena al Teatro La Fenice di Venezia) Marisa è esplosiva come l’allestimento, a metà tra favola e installazione pop. Un innesto irresistibile di energia e amore per il teatro. Un’attrice, presentatrice, cantante, autrice così cementata nella memoria collettiva – lei che è arrivata in tv con la gioia di una Carmen Miranda del Sud, prima accanto a Renzo Arbore e poi da sola – da rassicurare come una zia piena di consigli.
Riconoscibile come i suoi capelli raccolti, positiva d’animo eppure insofferente alle regole. «La ribellione è insita in un napoletano», spiega. «Una cosa positiva, perché per certi versi vuol dire pensare; per altri significa non rispettare i codici. Non so cosa sia meglio, ancora non l’ho capito». E meno male che non l’ha capito. Il segreto sta tutto lì, nella curiosità di nuove sfide, anche lontano dalle telecamere, nell’arte e nella fotografia, e con successo. Tante terre di mezzo su cui ha messo la bandiera dell’eccellenza.
Purissimo Made in Italy, verrebbe da dire, non fosse la formula tragicamente attuale come coda del nuovo Ministero delle Imprese. Nondimeno il concentrato di Marisa Laurito è fatto proprio di quei saperi e talenti tutti nostri. E che – come una bottega artigianale che chiude a favore di una catena americana – lei giustamente difende.
Marisa Laurito, una duchessa pop
Ma che ingresso spericolato in La Fille du régiment. Com’è nata questa collaborazione con Barbe & Doucet: da loro, dalla Fenice?
Con la siringa in mano, nientemeno! Mi hanno cercato loro, due artisti fantastici e molto divertenti. Nel lirico è stata la mia seconda esperienza dopo una Vedova allegra di Gino Landi al Filarmonico di Verona (2014). E anche là facevo l’ira di Dio. Come sempre è stata un’esperienza magnifica. Perché noi che veniamo dalla prosa non abbiamo soldi, ci arrangiamo, proviamo ad oltranza. Invece nel lirico tutto è organizzatissimo, e per me è una passeggiata, perché sono allenata. E poi tutti sono portati alla gentilezza. Mentre fuori ci sono le guerre, il gas che manca, governi che cadono, qui dentro sei immerso nella bellezza e tra voci pazzesche; figurati che ogni giorno arrivavo un quarto d’ora prima delle prove gustare il teatro in pace, una cosa che toglie il fiato. Poi c’è questa musica, che adoro fin da giovane.
Due voci straordinarie quelle di Marie e Tonio.
Sì! Il soprano – Maria Grazia Schiavo, napoletana – ha lavorato anche al Trianon in un’opera di Roberto De Simone. Bravissima, leggera e forte. John Osborn – altrettanto magnifico – con Tonio affronta i famosi 8 do che hanno reso Pavarotti celebre, e lui prende anche un re.
A un certo punto canti Arrivano i nostri e nell’opera di Donizetti arriva il varietà di Tutti insieme abbondantemente, tuo spettacolo del 2010.
Raramente nel teatro lirico si vedono registi in grado di fare qualcosa di originale, di scomporre i classici. Barbe & Doucet invece lavorano proprio in questo senso. La Fille du régiment in mano loro è diventata una reminiscenza anni ’40 della signora anziana che si vede nel filmato a inizio spettacolo, ospite in una casa di cura e che potrebbe essere Marie, potrebbe. Ecco, questo ricordo mette in moto gli oggetti sul suo comò, che diventano una scenografia buffissima a metà tra Il Mago di Oz e Alice: paesaggi austriaci, costumi di plastica, flaconi di medicine giganti. Una messinscena coraggiosa. Quando me l’hanno descritta ho detto: speriamo. Io arrivo e canto, anzi canticchio, Arrivano i nostri, canzone appunto degli anni Quaranta che mi piace molto. Però l’ho cantata per la prima volta con Gigi Proietti a Cavalli di battaglia. O forse no, hai ragione, era il finale di un atto. Chissà.
Via il raccolto da Mina Settembre
In tv invece stai spopolando in Mina Settembre 2. Un grande ritorno nel ruolo, sempre favoloso, della zia, qualsiasi zia. Ti sei divertita?
In verità sta spopolando Serena (Rossi). Però sono molto contenta, ovviamente. Ho rischiato poco e molto allo stesso tempo. Perché per problemi personali Marina Confalone – mia amica e attrice straordinaria – non ha potuto registrare molto (nella serie interpreta la mamma di Mina, ndr), dunque hanno fatto entrare me, per rendere un po’ morbida l’assenza relativa di Marina. E sostituire un personaggio amato mi aveva dato parecchie preoccupazioni, però per fortuna sta andando bene.
Comunque hai ritrovato una tua grande amica.
Con Marina poi non lavoravo da tantissimo, da quando eravamo giovanissime. Tanto che ci è venuto molta voglia di fare qualcosa insieme. L’adoro, è una donna molto speciale.
In Mina è sparito il tuo raccolto inamovibile: come vedere la Carrà riccia.
La regista ha voluto un cambio radicale. Ho sofferto molto perché non mi vedo in nessun altro modo se non con i capelli raccolti, fin da piccola. Li avrei accettati anche bianchi, purché raccolti, ma lei li ha voluti diversi. Adesso che ho un a certa età potrei tentare di cambiare, non so. Nella prossima stagione proverò a forzare il “blocco”.
«Eravamo senza soldi, pieni di sogni e affamati»
Ci sarà un Mina Settembre 3?
Non si sa ancora. L’opzione per il terzo capitolo l’ho firmata, sennò non cominciavo manco il secondo. Poi sai, adesso ci saranno molti cambi in Rai, quindi bisogna vedere cosa accadrà con questo delizioso nuovo governo.
Ma davvero dal mitico indirizzo di via Flaminia, casa tua e di Marina ai tempi della gavetta, passarono tutte le future star dello spettacolo?
Proprio così. E la cosa pazzesca è che tutti quelli che ci sono passati sono diventati famosi. Sergio Castellitto, Belloccio, Massimo Ranieri, Benigni. Roberto l’avevo conosciuto dietro le quinte di Vita da Cioni – spettacolo dove interpretava il sottoproletario Mario Cioni, da solo con un lampadario appeso. Diventammo amici e cominciò a frequentare casa. Mi aiutò pure a dipingerla in stile casino fascista, tutta nera e rosa. Sai, mi lasciavo suggestionare dai film che vedevo e ogni anno cambiavo decoro. Detto ciò questa casa era una bisca per giocatori d’azzardo; Nando Murolo, che ce l’aveva subaffittata, ci faceva sloggiare quando era serata di poker. Eravamo squattrinati, pieni di sogni e perennemente affamati: avevo inventato il “lunedì della dieta”, una torta e del latte bianco per tutta la giornata. Però che risate.
Il 19 aprile di quest’anno hai festeggiato 50 anni da Edoardo che ti scrittura a 21 anni. Che effetto ti ha fatto?
Li volevo festeggiare bene in teatro, ma avevo troppe cose da fare. Li festeggerò il prossimo anno, al 51esimo anniversario, tanto va bene uguale. Anche perché il ’51 è l’anno in cui sono nata, e perciò accorpo, faccio tutta una festa.
Non sembri proprio una nostalgica?
No. Sono una persona molto positiva, e non mi riguardo mai. Mi chiamano per dirmi se mi sono vista e io trovo scuse. Non mi piaccio mai, trovo solo difetti, e questo è buono perché mi spinge a evolvermi. Il passato – come diceva Luciano De Crescenzo – è andato nel momento in cui batti le mani; il tempo che conta, che ha valore è quello interiore. Io penso di avere 28 anni, ma veri, poi passo davanti a uno specchio e rimango sconvolta. Però è così. So che l’età fisica avrà presto un peso, ma finché cuore e mente funzionano tutto va bene.
«Io penso di avere 28 anni, ma sul serio»
Tu non ti riguardi, ma gli altri li guardi?
Sì, consumo molta tv. Poi guardo molto Instagram e YouTube. Ci perdo un po’ di tempo, è interessante scoprire questo mondo giovane. Certo sarebbe interessante usare i sociel nel modo giusto, senza l’aggressività che si ha in macchina. Invece c’è poco ascolto tra le persone, poco curiosità per gli altri.
Come li avresti usati i social li avessi avuti quando hai cominciato a lavorare? Come li stanno usando le giovani attrici?
Se fossi nata oggi non mi esporrei come fanno una serie di attrici. Certo, ho avuto molta fortuna, ho lavorato con Celentano, con Edoardo che sono andata a cercare, ho incontrato un sacco di gente speciale che ha calibrato la mia vita di giovane, le hanno dato un centro. Come il tavolo sociale all’Augustea (mitico locale romano ndr) con Ettore Scola, Nanny Loy, Mario Monicelli, a cui fui invitata dopo il provino (vinto) per La mazzetta (film di Sergio Corbucci uscito nel 1978, ndr.); seduta tra loro dovevo stare in silenzio, come parlavo venivo cazziata, non dicevo mai la cosa giusta. Però quanto ho imparato. Io non so se i giovani sono pronti a imparare e faticare; questo mestiere è un lavoro molto faticoso, se fatto bene.
E Boncompagni? «Il vuoto di idee»
Il passato è passato, e siamo d’accordo, però hai fatto la tv in un’epoca d’oro.
Ringrazio Dio che me l’ha fatta fare, o chiunque ci sia là sopra. Anche se prima di me la tv era ancora più d’oro, diciamo la verità. C’erano maestri insuperati, come Antonello Falqui. Io ho cominciato con lui a Giochiamo al varieté (4 puntate dal 12 gennaio al 2 febbraio 1980 ndr), mi chiamò per fare una canzone da soubrette nella puntata dedicata di Napoli. Dirigeva gli attori come Barbe & Doucet. Guarda che è difficilissimo trovare un regista, oggi, che ti dica cosa devi fare con precisione.
Come mai?
Perché non lo sanno fare. Ci sono i registi che hanno una visione, e sanno tradurla, altri no. Io avevo i funzionari in scena e dietro le quinte, presenti alle prime, alle seconde, alle terze. Non si schiodavano perché se il programma andava male perdevano la sedie. Però erano competenti e appassionati, sapevano governare la macchina.
Che ricordo hai di Domenica In?
Per me è stata una bellissima esperienza, e un incubo, perché venivo da Arbore, dove tutto doveva essere pensato e ideato. Mentre Boncompagni era l’esatto contrario, il vuoto delle idee. Quando andavo da lui per suggerire modifiche o altro, diceva «perché? funziona già bene». E perciò mi trovavo a fare due ore di Cruciverbone tutto improvvisato. Una fatica immane. E siccome andava bene, ogni domenica aumentava il tempo.
Andiamo tutti dall’Avvocato. «Chi?»
Quell’edizione andò benissimo, non te ne offrirono altre?
Sì, ma rifiutai. Eravamo abituati a fare successi e scappare via. Allora mi offrirono una prima serata, dissi no; il mezzogiorno, ancora no. Rifiutai tutto. E per tutto intendo tutto quello che la Rai aveva di importante allora. Ma avevo bisogno di un anno sabbatico. Ripensandoci forse ho sbagliato, forse no, ma sarei diventata una statuina televisiva, come ce ne sono tante. Del resto volevano rifare tutto: da Quelli della notte (Renzo disse no) a Marisa la nuit (un altro no).
Bisogna fare sempre i conti con il proprio carattere, no?
Adoro variegare. La noia mi fa stare male. Non posso stare ferma a fare Domenica In per 18 anni. Un’artista ha bisogno di movimento, altrimenti la creatività si spegne.
A un certo punto, con la ciurma di Quelli della notte, finisci invitata a casa Agnelli: come andò con Marella?
Eravamo andati a fare uno spettacolo alla villa dell’avvocato, e la mattina dopo Renzo mi sveglio dicendo abbiamo andare a pranzo da lui. «Da chi?», non capivo; sfido, eravamo andati a dormire alle 5. come sempre. Facevamo la trasmissione, poi si mangiava, poi tutti a ballare, e il giorno dopo di nuovo al lavoro. Insomma a casa Agnelli ne accaddero di cotte e di crude. Intanto io mi presentai con un vestito di seta fucsia e bluette, look perfetto per un giorno di pioggia, che mi sono presa tutta. Bella figura davanti a Marella in cashmere beige immacolato.
Hai rimpianti di quel periodo?
Sai cosa, rimpiango la grande creatività di gruppo, l’intelligenza, e l’ironia molto sofisticata. Marenco (Mario), per esempio, era un fenomeno, avanti anni luce, e infatti a volte non lo capivano. Senza briglia, si muoveva per traiettorie sue; recitava cose lunghissime lette con un contegno e fermezza che scatenavano gelo e scoppi di risa. Un approccio surreale insuperato, un grandissimo.
Dove trovi il tempo di fare tutto? «La notte»
La direzione artistica del Trianon Viviani (Teatro della canzone napoletana) in mezzo alla pandemia, decisamente un’avventura.
Nonostante tutto ho fatto delle cose molto belle. Con l’appoggio della Regione Campania abbiamo lavorato a porte chiuse trasmettendo gli show on line. Quando poi abbiamo riaperto sono venuti Piovani, Noa, Gragnaniello, Edoardo Bennato. E poi ho fatto “La Stanza delle meraviglie della canzone napoletana”, uno spazio virtuale in cui si è circondati da suoni, voci, colori. Spero di continuare nella direzione perché voglio espandere questo polo musicale forte, che a Napoli infatti prima non c’era.
Al Trianon hai tagliato i capelli alle spettatrici e agli spettatori in solidarietà con Mahsa Amini, la donna iraniana uccisa per aver portato il velo in modo scorretto.
Lo faccio tutte le settimane. E per tutto il resto della vita o almeno fino a che non finisce questa rivolta, perché è incredibile che oggi ci siano – non solo in Iran, anche qui da noi – delle donne costrette al silenzio.
«La gente non si sa più vestire»
Il #metoo ha fatto qualcosa di utile in questo senso?
Denunciare qualcuno che mi ha fatto qualcosa trent’anni fa è corretto se questa persona mi ha distrutto la vita. Io però ho sentito delle denunce, onestamente, molto più banali. Gli uomini ti pongono di fronte a uno stato di cose spesso terribile, è vero, da giovane è capitato anche a me; ma per fortuna grazie all’educazione di mio padre ero disciplinatissima: cedere era come precipitare all’inferno. E questo rigore, guardando le ragazze di oggi, io lo difendo. La parità – e qua le femministe mi daranno addosso – non è fare sesso come gli uomini. È quella degli stipendi, del divorzio, dell’aborto. Poi maschi e femmine vanno i giro sciamannati uguali, non c’è grande differenza.
L’Italia sta perdendo personalità?
Il mio paese lo amo molto, però quella cosa meravigliosa che avevano e che si chiamava Made in Italy che fine ha fatto? La gente non si sa più vestire. Ci vuole dignità e ruolo. A scuola e in chiesa bisogna andare vestiti decentemente, a teatro bisogna andare vestiti bene, perché è un luogo di bellezza. Bisogna essere eleganti. In America ci vanno con i jeans bucati, e questo sta arrivando anche qua, e lo sopporto poco.
Pochi sanno che dipingi da sempre – con i soldi pagavi le lezioni di recitazione – e che hai partecipato alla Biennale del 2015. Attrici-pittrici ce ne sono poche: io ne andrei molto fiero
Ho fatto una Biennale, ho avuto questo regalo. L’installazione – tutta sul cibo – si chiamava La Grande Bouffe. Un ristorante dalle portate minime. Su un tavolo c’era Non ho rughe purtroppo (una fragola di silicone gigantesca messa su un piattino piccolissimo), l’altro aveva le gambe realizzate a spaghetto: intitolato Spaghetto assoluto e solo, dedicato alla cucina molecolare.
«Finché c’è Renzo io resto a Roma»
Marisa Laurito, ma dove trovi il tempo di fare tutto?
La notte. Ma per l’ispirazione basta andare in mezzo alla gente e osservarla, come ci invitava a fare Edoardo. Lo faccio ancora e trovo delle ispirazioni incredibili. Devo però dire che, dopo la mostra di fotografia che ho fatto anni fa sulle terre dei fuochi intese come luoghi d’orrore e d’inquinamento (Transavantgarbage), ho difficoltà a tornare alla pittura e scultura. Sono a un’impasse.
Raro per te.
Un’artista deve essere un esploratore, in un secondo momento restituirà al pubblico quello di cui ha fatto esperienza. Ricordo Donne dell’altro mondo, una trasmissione (in onda su Canale 5 nel 1993, ndr.) che mescolava intrattenimento e giornalismo, un’idea nuova all’epoca. Intervistavo donne speciali nel mondo e avevo un’orchestrina tipo A qualcuno piace caldo, con due uomini vestiti da donna (uno dei due era Vincenzo Salemme). Facevo 5 milioni e mezzo contro i 6 e mezzo di Nino Manfredi, sulla Rai con una fiction: me la tagliarono. Sai gli ascolti sono una cosa che hanno distrutto la televisione. Omologandola. Adesso si fa tv con il carattere delle persone, che il più delle volte è banale, perché lo cercano banale.
Quale sarebbe il tuo cast per un’edizione dell’Isola dei famosi?
Arbore, Nino Frassica, Michele Santoro, Ignazio La Russa (diventato nel frattempo Presidente del Senato della Repubblica italiana) Daniela Santanché (diventata nel frattempo Ministro del turismo). Invece gli autori vanno al ribasso, con cast che rasentano la vita quotidiana più banale. Ma lo spettacolo è altro, è sapere cantare, ballare, recitare, parlare italiano, possibilmente.
«Rifiuto mille reality»
Pensi ancora che l’intuizione sia la qualità migliore che si possa desiderare? O è la volontà?
La volontà è basilare, senza volontà non si va da nessuna parte. Anche quando cedo, come a un certo punto è accaduto in questo ruolo della duchessa (volevo dei cambi, le trombe dietro eccetera), poi ricomincio. Perché è basilare fare quello che uno sente.
Hai fatto anche Sanremo (nel 1989), c’è qualche area dello spettacolo, ma non solo, che vorresti esplorare? Che ne so, un podcast, una linea di moda?
Voglio fare solo cosa belle, fino a quando morirò in scena, con la faccia a terra. Cose eleganti e speciali. Quello che sta accadendo con l’età è che voglio anche essere sempre più brava, più giusta, anche se l’epoca è proprio quella sbagliata. E infatti rifiuto un mare di cose.
Cosa ti propongono?
Molti reality. Adesso vado a farne uno che comunque reality non è: Quelle brave ragazze (Sky). Mi diverte stare molto stare con Mara Maionchi e Sandra Milo, perciò ho detto sì.
Hai perso moltissimi amici, uno su tutti Luciano De Crescenzo: come si convive con le persone che abbiamo perso?
Con Renzo Arbore ne parliamo spesso, abbiamo abbiamo perduto tanti amici veramente cari, con cui abbiamo passato serate meravigliose. Litigato, anche. Fonte enorme di cultura, di confronto; Luciano poi era la mia famiglia, lo sentivo e vedevo ogni giorno, o quasi. Così come Renzo.
Oggi vivi a Roma, tornerai stabile a Napoli un giorno?
Io penso che, finché c’è Renzo, io resto a Roma. Perché voglio stare dove sta lui.
Ho la sensazione che camminare per strada ti sia difficile senza essere continuamente fermata.
A Napoli non posso proprio, ma anche qua, e ovunque. La gente mi vuole abbracciare, ringraziare per le risate che gli ho procurato. Questo è un regalo grande che ho avuto dalla vita, perché è importante arrivare nel cuore delle persone. E io non me l’ero mai immaginato, nemmeno nei miei sogni più remoti.
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